Prefazione di Giovanna
Bertelli
Federico Garolla, già agli
inizi degli anni '50 affermato giornalista e fotoreporter, realizzava
ecclettici reportage di attualità come inviato speciale dei più
diffusi e prestigiosi rotocalchi, tra i quali Epoca, Europeo, Stern,
Paris Match e molti altri.
Dal 1950 al 1970, Federico Garolla si dedica anche alla fotografa di
moda per i settimanali italiani. La
sua non è una semplice testimonianza visiva, ma memore della
sua formazione giornalistica, un'interpretazione ed un gioco con la
modella o lo stilista che posano per lui. Garolla propone con le sue
immagini un nuovo modo di guardare alla fotografia di moda, che non
sia solo la mera descrizione di un abito indossato da un'avvenente modella,
ma vera fotografia e interpretazione.
Cercando sempre nuove soluzioni, preferendo la fotografia in esterno,
sui set aperti alla vita cittadina e spesso con la presenza di impreviste
"comparse", alla fotografia asettica di studio Garolla contrappone
le sue modelle nella realtà con un risultato di straordinaria
modernità.
Con uno sguardo ironico Federico Garolla continua a mostrarci con le
sue fotografie non semplicemente la moda, ma la vita che la circonda,
dai centri storici cittadini più eleganti ai paesini ancora profondamente
agricoli, creando
di fatto dei veri e propri reportage di moda. Ugualmente accade quando
Garolla con il suo obiettivo entra negli atelier dell'Alta Moda italiana,
che proprio in quegli anni lanciavano la loro sfida alle grandi firme
francesi.
Valentino, Ferragamo, Fontana, Capucci, Biki, Gattinoni, Marucelli,
Litrico, Simonetta, Schuberth
ed altri ancora: tutti ben volentieri
si prestano al suo sguardo.
Riproporre oggi il suo lavoro è
un omaggio sia alla fotografia sia alla moda.
Non quindi un'esposizione sulla moda attraverso le fotografie, ma una
mostra di fotografia che ha come suo oggetto la moda, vista con l'occhio
di un grande professionista.
Dall'archivio,
costituito da oltre 200.000 immagini di reportage sociale, attualità,
personaggi della cultura e del mondo dello spettacolo, sono state selezionate
circa 70 fotografie tra ritratti e moda dai primi anni '50 a tutti gli
anni '70 che ricostruiscono non tanto la storia della moda quanto l'atmosfera
di un'epoca.
Introduzione di Edgarda Ferri
Federico Garolla è un artigiano. Non improvvisa
niente, non crede all'ispirazione. Uno che aspetta di conoscere, di
capire. Che non vuole lasciarsi ingannare da false apparenze, di "momenti
così". Per trovare quel punto magico, quel punto assolutamente
imprecisabile dove l'uomo e il poeta sono inscindibili, ha fatto per
due anni l'autista a Giuseppe Ungaretti. Per fotografare la moda lavorava
sempre con le stesse quattro o cinque indossatrici, così da abituarsi
ai loro movimenti, al loro linguaggio. Per quelli che adesso si chiamano
VIP, e allora erano davvero persone degne di attenzione, non si nascondeva
sugli alberi, non rubava. Piuttosto chiedeva di poter fare il suoi lavoro
con calma, nel momento in cui il soggetto era disponibile.
Federico Garolla è un artigiano. Ma questo non gli vieta di essere
un artista. Succede. Monet, per esempio. Si faceva portare in barca
tutte le mattine sulla Senna: il cavalletto già montato, la tela
pronta, i colori e i pennelli a portata di mano. E aspettava. Quella
certa luce, quella certa ombra che il levar del sole gettava sulla riva
del fiume, su un fascio di erbe. Poi, lavorava. Fintanto che la luce,
fintanto che l'ombra, non cambiavano posizione. Allora, smetteva. Smetteva,
e aspettava domani. Per ritrovare la stessa atmosfera.
Piero della Francesca, per esempio. Saliva sul ponteggio degli affreschi
che aveva già tutto pronto: il disegno a grandezza naturale sul
cartone forato col punterolo, così da far passare lo "spolvero"
sull'intonaco; gli abiti dei personaggi già drappeggiati sui
manichini di creta; i colori già mescolati nele sfumature giuste.
Lavorava così. Come un artigiano, lui diceva. Perché lui,
il quadro che voleva ottenere, l'aveva già in mente, l'aveva
già creato. Doveva soltanto tirarlo fuori.
Federico Garolla viene dal giornalismo. Quindi ha nel sangue il gusto
del raccontare. Se il giornalista racconta usando le parole, lui racconta
attraverso le immagini . Garolla ha raccontato viaggi, personaggi, guerre.
Si è occupato anche di moda. Partendo da Milano. Dove la vera,
la grande moda, è nata. Dove, già negli anni '30, La Curiel,
la Veneziani, la Biki, i Fercioni, i Tizzoni, e tanti altri, hanno seminato
idee anche per i nostri contemporanei. Generazioni di geniali tagliatrici,
di ricamatrici, di modiste, di pellicciai che hanno compiuto opere ancora
oggi perfette, ancora inimitabili. Da Milano, Garolla é sceso
fino a Roma. Seguendo l'incostante ed effimera dea che, invece, lui
voleva fermare. Senza pietrificarla. Senza"immortalarla".
Infatti, per renderla viva, Garolla ha "inventato" un genere
fino a quel momento sconosciuto. Siamo agli inizi degli anni '50 quando
Garolla prende le modelle e le fotografa sulla strada. A volte, in mezzo
a una strada celebre come via Veneto a Roma; oppure a Mantova, nei giardini
di palazzo Te; ma anche fra le galline di una casa colonica. Lezione
imparata dal cinema neorealista. E imparata bene. Dal momento che ci
sono ambientazioni che sembrano lo "spot" di un profumo girato
da Tornatore fresco di Oscar: Catherine Spaak in abito di velo nero
e scarpette col tacco seduta su una sedia di paglia contro il muro di
una casa mediterranea, a fianco di una fila di uomini con la coppola
e l'abito della festa.
Gli anni '50. Allora le modelle si chiamavano "mannequin".
Traduzione dal francese manichino. Il chè significa "Fermi
tutti. Vietato anche il respiro". Perché sia evidenziata
la sapiente cadenza dell'abito, perché la stoffa non faccia una
grinza. Il "modello", é più importante della
modella. Come del resto é giusto, dal momento che il sarto ha
lavorato sodo, tutto di testa, tutto di mano. Il tempo, però,
non era più quello. L'Italia aveva preso una rincorsa pazzesca.
E andava. Andavano le automobili e le Vespe, andavano il cinema e la
letteratura, andavano le vacanze e i viaggi all'estero. Potevano, i
vestiti, starsene immobili sui "manichini" viventi?
Ecco allora Garolla che porta le "mannequins" sulle strade.
Chiedendo loro di muoversi, di respirare, di sorridere, di inventare
pose che, nelle fotografie di "interno", erano inattuabili.
E ancora non gli è bastato. Le "mannequins " sono diventate
donne. Giovani e belle donne che, finito il lavoro, si tolgono le scarpe
per la stanchezza, fanno uno spuntino da sole, siedono in un caffè
a fare merenda, passano alla cassa e ritirano il loro compenso. Donne
in carne e ossa. Vere. Autentiche. Non la plastica gonfiata e inanimata
di oggi. (Grazie, caro Garolla. A nome di tutte).
Il mondo che Garolla ha saputo creare intorno alla moda, è un
mondo nobile. Non tanto per le sublimi creazioni , le ragazze vere,
i sarti dai grandissimi nomi. Quanto per il lavoro. Garolla, ha fotografato
il lavoro. Messe una accanto all'altra, le sue fotografie compongono
una sorta di "teatrino meccanico", un carillon formato gigante.
Dove, anziché sentire la musichetta e il ticchettio delle molle,
si sentono cervelli che pensano, mani che tagliano, aghi che bucano
il tessuto, occhi che controllano, dita che dolgono, gambe che si gonfiano.
L'odore del lavoro. Che non è mai profumato. Anzi, al contrario.
Ma grazie a Dio, fa parte di noi. E ancora una volta, non è di
plastica. Come non sono di plastica Salvatore Ferragamo, mentre "punta"
una scarpa con pinza e chiodi; Angelo Litrico mentre cuce seduto sul
tavolo difronte ai manichini di De Gaulle, Eisenhower, Kruscev; Carosa
mentre stringe il bustino di un'indossatrice prima di una sfilata; Antonelli
fra le lavoranti tutte intorno a una stangona bruna con l'orlo della
gonna tutto da rifare. Beata semplicità. Beata verità.
Dove i sarti non erano ancora "stilisti", dove le indossatrici
non erano ancora "star" viziate dai conduttori televisivi,
la pubblicità, i "gossip", i prezzi, il "made
in Italy". Ma che mi facciano il piacere, verrebbe da dire. Sono
stati questi, questi fotografati da Garolla che hanno fatto il "made
in Italy". Il resto, è fumetto.
Moda non solo come abito. Moda come volto, come costume. Garolla ci
ha lasciato documenti fondamentali per capire un'epoca. Quella del "bianco
e nero", della bellezza non gonfiata, non adulterata. Dove le donne
erano "uniche" perché ciascuna di loro aveva una sua
caratteristica, una sua anima. Nessun clone. Nessuna imitazione. Silvana
Pampanini seminuda fra le ghiaie di Positano trasmette la vitalità,
l'amore per la natura che ha ancora oggi, in età avanzatissima;
ma anche il suo passato da cantante lirica, con la passione per l'orpello.
Infatti, sotto un sole a picco, un anello per mano, un orologio. Tutti
grossi, e tutti d'oro. Anna Magnani con gli occhiali da vista dalla
montatura pesante, una grossa ruga verticale in fronte, l'occhio (se
ne vede uno soltanto) interrogativo, perplesso, rispecchia lo spirito
di questa grandissima artista insoddisfatta, problematica, con naturale
e grave propensione a farsi del male. Silvana Mangano, ripresa difronte
a una testa incappucciata nella tela bianca, (atmosfera dichiaratamente
Magritte), la bocca seminascosta da una mano, gli occhi ansiosi, racconta
la storia di una donna che é passata nel cinema lasciandoci il
disagio della sua perenne infelicità. Ingrid Bergman, fotografata
su una funivia, di una bellezza commovente, di una struggente tenerezza,
perché ha gli occhi di una donna innamorata. E l'uomo, Roberto
Rossellini, é lì con lei, alle sue spalle, di profilo,
il sorriso soave, anche lui é innamorato. Claudia Cardinale,
accoccolata su una poltrona, giovanissima e splendida. E' come era,
é come é ancora. Una berbera chiusa come un riccio, timida
come una gazzella, scaraventata sotto le luci spietate della ribalta.
Mina con la bocca e gli occhi spalancati, poggiata contro i ruderi di
piazza Argentina, cotonata , in golfino abbottonatissimo. Già
allora, un'artista in prestito agli occhi del pubblico. Un pubblico
che voleva "anche" guardarla mentre lei voleva "solo"
farsi ascoltare.
I ritratti degli uomini. Uomini molto diversi fra loro. Un Ungaretti
mai visto così, in maniche di camicia, gilet e pipa mentre telefona,
in piedi, e sorride. Dentro l'intimità di una casa calda, affettuosa,
privatissima. Vittorio Gassman, sullo sfondo dei lenzuoli stesi nella
celeberrima scena de "I soliti ignoti", fra compagni altrettanto
autentici nelle loro maschere da "variazioni sul tema della mascalzonaggine".
Pasolini giovanissimo, le mani in tasca , la cravatta stretta al collo,
il taglio di capelli da provincia, mentre osserva ragazzi che giocano
su un campetto di calcio in periferia. La sua vita. La sua morte. Vittorio
De Sica: il solito elegante "cammello", la solita sigaretta,
la solita classe da antico gentiluomo. Un racconto misterioso, Garolla
ci farebbe un piacere a svelarcelo. Che cosa ci faceva De Sica, in piedi,
nel tunnel al centro di Napoli intasato di automobili.
Oggi, va molto di moda l'ironia. Per dire che qualcosa funziona, si
dice che é ironico. Un film, un vestito, una faccia. Ironia come
slogan equivoco, svuotato di senso. La sola ironia che oggi conosciamo
davvero, é quella della sorte: il soldato italiano che muore
a Nassiria per una fucilata che gli centra l'unico punto vulnerabile
dell'equipaggiamento. Garolla non cade in questo tranello. Garolla fotografa
quello che c'é da fotografare, mettendoci l'anima dentro. E almeno
una volta, di una delle sue "facce alla moda" si é
innamorato. Di Elsa Martinelli ancora ragazza. Ritratta con un gatto
intorno al collo come se fosse una pelliccia. Un gatto solo apparentemente
docile, dal momento che ha già drizzato le zampe e sta per andarsene.
Come lei,del resto.Che sorride appena. E più di tanto, non si
dà . (Garolla ci dica se non é andata così).
Edgarda Ferri
Scrittrice, giornalista, saggista. Ha pubblicato per Rizzoli : Dov'era
il padre, Contro il padre, La tentazione di credere, Il perdono
e la memoria. Per Mondadori: Maria Teresa, Giovanna la pazza, Io
Carterina, Per amore, L'ebrea errante, Piero della Francesca, La grancontessa,
Letizia Bonaparte, L'alba che aspettavamo. Scrive per Il Corriere
della Sera.
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